Diventare padre a 40 anni.
Altro che crisi di mezza età.
Oggi compio quarant’anni.
E forse non c’è giorno migliore per raccontare cosa si prova a diventare genitori a quest’età.
Perché diciamolo: a leggerla così, “diventare padre a quarant’anni” può suonare solo come una cosa negativa.
E forse, per gran parte della società, lo è davvero.
Ma chi può dirlo? Magari a breve vivremo fino a 150 anni e sarà la norma.
O magari, molto più probabilmente, l’aspettativa di vita rimarrà la stessa e ad allungarsi sarà solo l’età pensionabile. Altro che genitorialità.
Pensateci: una volta, a quarant’anni, iniziava la famosa crisi di mezza età.
Oggi, ci chiamano ancora ragazzi.
Diario di un (quasi) Babboh: settimana 37
Settimana scorsa mia moglie ha fatto la visita di presa in carico alla Mangiagalli, la clinica dove partorirà.
Durante il controllo ci hanno detto che ha ancora un po’ troppo liquido amniotico.
Tradotto: Nina nuota benissimo, ma la piscina è un po’ grande.
Niente di allarmante, ci hanno rassicurato, ma abbastanza da valutare di anticipare il parto con un’induzione.
A quanto pare, siamo davvero agli sgoccioli.
Nel weekend abbiamo incontrato una coppia di amici che ha avuto un bambino da poco. Una coppia decisamente più giovane di noi, almeno otto anni di differenza.
A un certo punto, lui mi guarda e dice:
“Dimentichi la vita che facevi prima.”
Una frase che per molti suona come un avvertimento, ma che a me ha acceso un dubbio: che vita, esattamente, dovrei dimenticare?
Ho ripensato ai miei trentadue anni: una vita piena, movimentata, rumorosa.
Oggi, a quaranta, è diversa: sempre piena, ma più stabile, più consapevole. Più mia.
Sono anni ormai che vivo una vita in cui sono pronto per avere un figlio, perché quella precedente, quella in cui facevo le prove generali di me stesso, l’ho già vissuta fino in fondo.
Forse è proprio qui il corto circuito: stai cominciando un’altra vita, senza dover rinunciare a quella che avevi.
Mentre provavo a diventare padre, mi sono chiesto spesso cosa significasse davvero diventarlo a quest’età. E l’unica cosa che ancora mi spaventa un po’ è il tempo.
Il tempo che scorre più veloce.
Il pensiero - lo ammetto - che forse, in futuro, non vedrò tutto.
Invidio mia madre, che ha avuto il primo figlio a ventidue anni e che avrà la possibilità di godersi sua nipote per diversi anni.
Ma forse invidio meno quello che spesso capita a chi ha i figli presto: concentrarsi sull’essere genitori rinunciando a essere se stessi. E poi, anni dopo, voler recuperare qualcosa che non puoi più vivere come una volta.
Comunque, in generale, se dovessi invidiare qualcosa a qualcuno, sarebbe il tempo.
E quando si parla di tempo, è l’unico momento in cui mi sento un po’ in ritardo.
Poi però entra in gioco anche la qualità del tempo che si passa insieme, e quella, a quarant’anni, almeno dalle premesse, mi sembra avere tutto un altro sapore.
Mi sento consapevole e soddisfatto della mia vita: quella che ho, quella che ho vissuto, quella che sto costruendo.
A quarant’anni probabilmente non ho più l’energia di prima, ma ho imparato a usarla meglio.
Non corro, ma arrivo.
Non improvviso, ma ragiono.
E, paradossalmente, è proprio questa lentezza che mi fa sentire più pronto.
Eppure, anche quando tutto sembra al posto giusto, quel senso di essere fuori tempo massimo ogni tanto mi batte sulla spalla.
Come se esistesse un’età stabilita per diventare padre.
Come se ci fosse un cronometro segreto che qualcuno, da qualche parte, fa partire al momento giusto. E tu, se arrivi tardi, vieni guardato con un misto di compassione e sospetto.
Diventare padre a quarant’anni è un continuo equilibrio tra soddisfazione e disagio.
Paradossalmente hai l’esperienza che serve, ma ti senti fuori posto.
Sei pronto e in ritardo nello stesso momento.
Fortissimo e vulnerabile.
Saggio e un po’ fuori fase.
Chiunque vi dirà che non esiste un’età giusta per diventare padre.
Qualcuno lo penserà davvero, altri lo diranno perché è più facile.
So solo che, per me, è adesso.
E se questo è fuori tempo massimo, allora viva i supplementari, che non sempre, ma in molti casi, possono diventare i minuti più belli della partita.
Avrei voluto dedicare questa puntata alla paura del cambiamento, quella che arriva quando senti che nulla sarà più come prima.
È un pezzo che ho già iniziato a scrivere, ma non ho fatto in tempo a finirlo.
Lo farò la prossima volta.
Sempre che Nina non decida di nascere prima.
Un’ultima cosa: e tu? Ti sei mai sentito fuori tempo massimo?

