Ciao, sono un babbo.
Tecnicamente, non ancora.
Ma in questi mesi passati a provarci, a tratti mi ci sono sentito.
Eccome se mi ci sono sentito.
Spoiler: quando dico provarci, non è esattamente come al cinema. A meno che il film non preveda lunghi piani sequenza, dentro sale d’attesa d’ospedale gonfie di ansia e piante finte.
Sono sicuramente un babbo perché ho iniziato a pensare a questa newsletter molto tempo fa. E non l’ho mai scritta. Principalmente per scaramanzia.
(E anche un po’ per procrastinazione, ma diamola vinta alla scaramanzia, che suona più spirituale.)
C’è un momento, in ogni storia, che non è ancora la storia.
Quella scena in cui tutto deve ancora cominciare, ma tu lo sai: sta per succedere qualcosa. Tipo quando Carmy, in The Bear, fissa la cucina vuota e capisci che sta per esplodere tutto — dentro e fuori.
Per me, quel momento è adesso.
Domani abbiamo la prima ecografia.
E ho pensato: o adesso, o mai più.
(Oppure finisce che la prima newsletter la scrivo al suo diciottesimo.)
Quando si diventa padre?
La legge e la scienza dicono alla nascita del bambino.
Io ho capito che è successo quando ho scelto di diventarlo.
(Non ho prove, ma nemmeno dubbi.)
E non solo perché è stata una scelta consapevole, ma perché io e mia moglie (all’epoca ancora compagna) ci abbiamo provato davvero in tutti i modi, fino ad affrontare un percorso di Procreazione Medicalmente Assistita.
Che, se te lo stai chiedendo, non è proprio Sex Education, ma più un mix tra Grey’s Anatomy e The Office.
Confusione, analisi, provette, sedie scomode, progesterone e un calendario di appuntamenti che neanche un Ministro con tre deleghe.
E tutto questo, mentre con una siringa di ormoni in mano cerchi di essere il più credibile possibile mentre dici cose tipo: “Amore, fidati di me. Ho visto due reel su Instagram, sono praticamente un infermiere.”
Di questo percorso parlerò spesso.
Spero senza retorica, ma con la stessa tranquillità con cui l’infermiere mi ha detto: “Ecco il barattolo per la raccolta del seme. Mi raccomando, d-e-n-t-r-o.” Come se fossi un bambino davanti a un vasino, e non un uomo sull’orlo di una crisi esistenziale.
Il punto è: perché nessuno ne parla?
(O meglio: perché noi uomini non ne parliamo?)
Negli ultimi mesi — in realtà, anni — ho avuto tante domande. E pochissime risposte.
Un po’ per scaramanzia. Un po’ perché Google ti risponde con:
“Sei sterile oppure hai solo bisogno di più magnesio. Scoprilo in questo quiz da 5 minuti!”
E intanto il mondo intorno parla — ma in un’altra lingua. Perché oggi si discute tantissimo di fertilità, PMA, genitorialità. Ma quasi sempre da un punto di vista femminile. Non perché non ci sia spazio per noi. Ma perché nessuno ci ha insegnato a occuparlo. Siamo cresciuti con l’idea che dobbiamo essere forti, presenti, risolti. Mai fragili. Non confusi. Il risultato? Tanti uomini muti, impacciati, con la testa piena di domande e la bocca chiusa.
Beh, spoiler n.2: io, a volte, mi sento perso. E magari anche tu.
Di cosa parleremo qui?
Della paternità. Ma non quella dei manuali o delle commedie dove anche i quindicenni parlano meglio di quanto io riesca a spiegare come mi sento. Parleremo della vita vera. Di quella cosa strana che succede tra un’ansia e l’altra.
Condividerò disastri, emozioni, successi, dubbi, piccole gioie, paure irrazionali, scene tragicomiche che fanno ridere solo a distanza di sicurezza (tipo tre settimane dopo).
Insomma, una storia vera. Semplice, come l’avrei voluta leggere.
La mia esperienza. E, se ti va, anche la tua.
Senza filtri, ma con ironia.
Perché sì: si può piangere e ridere nella stessa ora.
Anzi, succede regolarmente.
Tipo ogni giovedì alle 11, tra il risultato di una beta e una riunione di lavoro.
La verità? Non sei solo.
No, davvero.
Non sei l’unico ad aver googlato “quanto incide il fattore maschile sulla fertilità”,
o a chiederti in piena notte: e se fossi io il problema?
(Spoiler n.3: a volte lo siamo, ma va bene lo stesso.)
Siamo in tanti. Solo che ognuno vive il suo silenzio.
Questa newsletter vuole rompere quel silenzio.
Con onestà.
Con la libertà di dire: “Non ho idea di cosa sto facendo, ma ci provo lo stesso”.
Perché forse è proprio questo che fa un Babboh: ha dubbi e domande, ma ci prova.
Anche quando sembra stupido. Anche quando la cucina è vuota.
Anche quando la paura dice “lascia perdere”.
Solo un figlio può far nascere un padre.
Il resto lo scopriremo, un boh alla volta.
Grazie è molto bello leggere, mi ha fatto sentire meno solo.